(cose)rose (video installation)



 

 

 

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Alice Pedroletti, Lucia Veronesi. (cose)rose, 2018. Installation view, SSSSSSS, Atrii-Varese at Yellow, Varese. Photo credits Alice Pedroletti

 

(cose) rose 2018

palla a specchi 40 cm di diametro, proiettore di diapositive, 80 diapositive d’archivio, dimensione variabile

 

Nella parte inferiore della scala, sulla destra, vidi una piccola sfera cangiante, di quasi intollerabile fulgore. Dapprima credetti ruotasse; poi compresi che quel movimento era un’illusione prodotta dai vertiginosi spettacoli che essa racchiudeva. Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo. «Quando aprii gli occhi, vidi l’Aleph».
«L’Aleph?» ripetei.
«Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».

Tratto da El Aleph di Jorge Luis Borges

 

(cose)rose è un caleidoscopio costruito con una mirrorball e un proiettore di diapositive provenienti da un vecchio archivio scolastico. Le immagini delle statue e delle opere classiche, riconoscibili e familiari, ne conservano e proteggono le forme, ne consentono la riproduzione e la fruizione; il supporto su cui sono impresse ha invece assunto, con il tempo, una singolare colorazione magenta. Siamo abituati a pensare che un archivio sia qualcosa di fermo e costante in cui rifugiarsi o al quale fare riferimento, mentre scopriamo che è un luogo vivo e soggetto a cambiamenti continui. Le immagini proiettate dagli specchi della sfera, surreali e in movimento, ricreano una atmosfera evocativa, di una bellezza universale, affascinante; è l’archivio di un sapere che appartiene a tutti i tempi e che ci disorienta trasformando una parte del cortile di via San Pedrino in un mondo altro, fatto di molteplici visioni, di frammenti di storie e racconti. Una capsula temporale, un caleidoscopio di possibilità, di narrazioni. Si ha l’illusione di trovarsi in un luogo sempre diverso, nell’Aleph di Jorge Luis Borges, dove le tracce di storie scritte sulle pareti e sui soffitti del parcheggio coperto si sovrappongono e si intrecciano a quelle tramandate dall’archivio, dalle opere. Si genera così un moderno trompe l’oeil a cavallo tra era analogica e digitale, che evoca un tempo passato, ma ironicamente ci propone un nuovo canone estetico assolutamente effimero. Solo il rumore del proiettore, che fa scorrere una diapositiva dopo l’altra, mantiene un contatto sonoro con la realtà, come un orologio che scandisce un tempo indefinito di un luogo che è ovunque, adesso.

 

(cose) rose 2018

mirrorball diameter 40 cm, slide projector, 80 slides from an archive, variable dimension

 

On the back part of the step, toward the right, I saw a small iridescent sphere of almost unbearable brilliance. At first, I thought it was revolving; then I realized that this movement was an illusion created by the dizzying world it bounded. The Aleph’s diameter was probably little more than an inch, but all space was there, actual and undiminished. Each thing (a mirror’s face, let us say) was infinite things since I distinctly saw it from every angle of the universe. When I opened my eyes, I saw the Aleph.” 
“The Aleph?” I repeated.
“Yes, the only place on earth where all places are — seen from every angle, each standing clear, without any confusion or blending”.

From El Aleph by Jorge Luis Borges

 

(cose)rose is a kaleidoscope built with a mirrorball and a projector with eighty slides from an old school archive. The images of the statues and classical works, both recognizable and familiar, preserve and protect its forms, while allowing its reproduction and enjoyment; the support on which they are imprinted has instead taken on, over time, a unique magenta colour. We are used to thinking of an archive like something firm and constant to take refuge in or to refer to, but we discover that it is a living place and subject to continuous change. The images reflected by the mirrors of the sphere, surreal and in motion, recreate an evocative atmosphere, of universal, fascinating beauty. It represents the archive of a knowledge that belongs to all times and that disorients us by turning a part of the courtyard in Via San Pedrino into another world, made up of multiple visions, fragments of stories and tales. A time-capsule, a kaleidoscope of possibilities, of narrations. One has the illusion of being in an ever-changing place, in the Aleph by Jorge Luis Borges, where the traces of stories written on the walls and ceilings of the covered car park overlap and intertwine with those handed down from the archive, from the works. The result is a modern trompe l’oeil between the analogical and digital era, which evokes a past time while ironically putting forward a new, absolutely ephemeral, aesthetic canon. Only the sound of the projector, slides after slide, owns a sound contact with reality, like a clock that marks an indefinite time of a place that is everywhere, right now.